Il nome MateSei-su-immagine-raffigurante-veduta-parziale-sasso-caveoso-e-gravina-di-materara è, come per gran parte delle città, di origine incerta. Alcuni ritengono che derivi da MET(aponto)-ERA(clea), perché sarebbe nata come rifugio dei fuggiaschi delle due antiche città della Magna Grecia. Ma è ipotesi fantasiosa.
Altri fanno ricorso al nome di Metello console romano, nel 90 a. C., salvatore e rifondatore della città, che perciò, nell’antichità classica, si sarebbe chiamata Matèola. Qualcuno si rifà alla parola latina MATERIA o MATERIES (‘legname’, quindi ‘boschi’), partendo dalla convinzione che il territorio, una volta, fu fitto di intensa vegetazione. C’è chi si riconduce al greco METÉORON (‘ciò che sta sopra, il cielo’), apparendo Matera, dall’alto, “come un cielo stellato”, Qualcun altro, infine, ha pensato al greco MÁTAlOS-ÓLOS (‘tutto vuoto’)…
L’etimologia più accreditata, in verità, sembra ricondurre alla voce meta o mata, assai diffusa nell’area meridionale, che significa ‘mucchio, cumulo, collina, altura sassosa’ e, quindi, ‘Sassi’.
Matera porta i segni di una storia lunghissima, che comincia dall’età della pietra. A pochi chilometri dalla città, nel territorio di Altamura, in un anfratto della Murgia, di recente è stato trovato uno dei più antichi scheletri umani. È scontato, del resto, che, dove ci sono caverne naturali, ci furono quasi sempre i cavernicoli. Presso Murgia Timone e Murgecchia, e non solo lì, l’archeologo materano Domenico Rìdola trovò chiari segni di villaggi paleolitici e neolitici. Percorsa e occupata da continue immigrazioni di popoli provenienti dall’Oriente, la città conobbe anche gli insediamenti dei Japigi, degli Osci, dei Peuceti, dei Lucani…Poi arrivarono i Greci, i Romani, i Goti, cacciati dall’esercito bizantino, guidato da Belisario.
I Bizantini, a loro volta, si scontrarono con i musulmani, passando per vicende alterne. Fra questi contrasti, che erano anche di religione e di cultura, s’inserirono i Longobardi, finché su tutti presero il sopravvento i Normanni, che erano portatori, per volontà del papa, di un progetto di unificazione e cattolicizzazione del Sud.
Sei-su-immagine-raffigurante-interno-chiesa-rupestre-santa-lucia-alle-malveMatera, caduta anch’essa sotto il dominio normanno, fu di volta in volta, nel secolo XI contea di Guglielmo Braccio di Ferro, di Roberto il Guiscardo (1064) e di Roberto dei Loffredi (1080). Ai Normanni seguirono gli Svevi di Federico II e di Manfredi, sconfitti e cacciati, nel 1266, dagli Angioini di Carlo I. Matera, che faceva ancora parte della terra d’Otranto, cioè era parte integrante della Puglia, veniva assegnata a Filippo, principe di Taranto (1295), figlio del re Carlo II. Nei decenni successivi passava per le mani di Ruggero Sanseverino (1374). Dopo essere stata terra demaniale, tornava sotto i Sanseverino e quindi, sotto Giovanni Antonio Orsini. Diventò un’altra volta terra demaniale sotto gli Aragonesi. Tale era al tempo della discesa di Carlo VIII.
Ferdinando I d’Aragona, però, la consegnava ad un feudatario di nuova estrazione, il conte Giovan Carlo Tramontano, di cui i materani si liberarono con la rivolta del 29 dicembre 1514. Insediatisi stabilmente gli Spagnoli nell’Italia meridionale (1504-1707), dopo essere stata feudo di Ferrante Orsini, duca di Gravina, la città di Matera riacquistava la sua demanialità.
Nel 1663, essendosi istituita la Provincia di Basilicata, e non contando questa su un centro che potesse fare da capoluogo, Matera fu distaccata dalla Puglia e annessa alla nuova Provincia. Diventata sede di importanti uffici, ebbe un notevole sviluppo economico-sociale e, quindi, urbanistico. Si venne a costituire, allora, il centro storico sei-settecentesco, rimasto pressoché integro fino al giorno d’oggi.
Sei-su-immagine-raffigurante-particolare-bassorilievo-della-facciata-della-chiesa-del-purgatorioCacciati gli Spagnoli, insediatisi gli Austriaci e arrivati i Borboni, nel 1735 Matera riceveva la visita del re Carlo III, alla cui casa si dimostrò presto legata, sì da esserle fedele anche in occasione della rivoluzione del 1799. Nel 1806, anche per punirla di questa sua fedeltà, il nuovo governo francese, con decreto di Giuseppe Bonaparte, la privava del ruolo di capoluogo della Basilicata, a vantaggio di Potenza. Anche per questo motivo, durante il Risorgimento, Matera mantenne una sostanziale fedeltà alla casa borbonica, partecipando poco attivamente al movimento liberale e unitario. Ben diverso, invece, fu l’atteggiamento di Potenza.  Compiuta l’unità d’Italia, mentre in primo piano veniva la questione sociale, Matera, con la sua organizzazione ancora feudale, diventava simbolo della questione meridionale. Cominciava un periodo di agitazioni sociali, che interessò la città fino all’avvento del fascismo. Notevole fu la figura del “monaco bianco”, evangelico, agitatore e organizzatore della plebe contadina.
All’indomani dell’instaurazione del regime fascista, nel dicembre del 1926, la città veniva promossa al ruolo di secondo capoluogo di provincia, dopo Potenza, che era anche capoluogo di regione. Questo non impediva alla città di insorgere contro il fascismo e contro i tedeschi, prima città d’Italia a farlo, il 21 settembre 1943. Si meritava, perciò, la medaglia d’argento al valore della Resistenza.
Sei-su-immagine-raffigurante-veduta-del-sasso-barisano-e-cattedrale-di-materaTornata la democrazia, si riaccendevano i contrasti sociali, che avrebbero portato alla riforma agraria e ad un ricco fermento culturale. Matera, da Carlo Levi, come si è già detto, veniva assunta al ruolo di “capitale dei contadini”, contrapposta a Roma, “capitale della borghesia”. La rinascita, però, avveniva in modo distorto, come del resto in tutta l’Italia meridionale. L’emigrazione colpiva soprattutto i contadini. Della città si appropriava proprio la borghesia impiegatizia, spesso proveniente dalla provincia. I contadini non emigrati, se non diventavano dipendenti pubblici, cambiavano attività, anche perché allettati da una casa popolare, assegnata in seguito alle diverse leggi sul risanamento dei Sassi (L. n. 619/1952; L. n. 299/1958; L. n. 126/1967; L. 1043/1971). Con queste leggi si svuotavano gli antichi quartieri, ove, a metà degli anni Cinquanta, risiedevano poco meno di ventimila abitanti. L’intervento massiccio dello Stato, peraltro, faceva di Matera una città costruita con soldi pubblici, e quindi fuori di ogni criterio di selvaggia speculazione. Questo spiega il suo carattere arioso, a volte civettuolo, segnato da una insolita presenza di ampi spazi liberi, anche se non sempre verdi, a motivo di una cura spesso disattenta.
Oggetto di grande attenzione da parte della cultura d’avanguardia degli anni Cinquanta, anche straniera, sede di grandi inchieste sociologiche, il ruolo e la vivacità della città sono andati, successivamente, sempre più appannandosi, anche a seguito – bisogna dirlo – dell’ istituzione della Regione, che ha visto una graduale spoliazione del tessuto burocratico di essa, senza che, in compenso, si sia formato un consistente apparato produttivo. Ma già ci sono segni di ripresa. Molte speranze sono riposte soprattutto su un augurabile grande sviluppo turistico-culturale, cui sembra  essere una buona premessa il suo inserimento, nel 1993, grazie ai suoi Sassi, nel patrimonio internazionale UNESCO. Ma il cammino è lungo, lunghissimo, e molto difficile. Sulla città, oggi, pesano, purtroppo, circa diecimila disoccupati, per lo più giovani, tra i quali non pochi diplomati e laureati.

A cura di Giovanni Caserta
Tratto da “Matera. Nuova guida” di Giovanni Caserta

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