Diversi incendi hanno funestato di recente una parte del Bosco pantano di Policoro, fortunatamente non quella più caratteristica e preziosa, ossia il bosco igrofilo, caratterizzato da pozze d’acqua perenni che hanno consentito lo sviluppo di una meravigliosa biodiversità strettamente legata all’acqua.
Come documentato dalle mie fotografie, l’incendio ha interessato la fascia di vegetazione che costeggia alcuni canali di bonifica, parte della pineta e della macchia mediterranea retrodunale giungendo a lambire il bosco. Anche il galoppatoio del centro visite gestito dal WWF è stato danneggiato dalle fiamme che sono state appiccate in più punti. Incendi quasi certamente dolosi (le indagini sono in corso), le cui motivazioni potrebbero essere tante. Speculazione edilizia, contadini esasperati dai cinghiali che dal bosco effettuano scorribande nei vicini terreni coltivati distruggendo le colture, o chissà cos’altro può essere alla base degli incendi che stanno mettendo a dura prova un area protetta, sino ad oggi miracolosamente sfuggita alla definitiva distruzione.
Il bosco Pantano è a rischio e non solo per gli incendi frequenti. L’erosione costiera, i tagli indiscriminati, il pascolo selvaggio che distrugge il sottobosco, lo stato di incuria e abbandono in cui versa anche e soprattutto a causa delle istituzioni che dovrebbero tutelarlo riportano a noi un’immagine a dir poco sbiadita di ciò che è stata la monumentale foresta di pianura che si estendeva un tempo tra le foci dei fiumi Agri e Sinni, così come descritta dai ricchi rampolli dell’aristocrazia europea in viaggio in Italia a partire dal XVII secolo per riscoprire e ammirare le antichità classiche del Bel Paese.
Uno scrigno di biodiversità costituito da biotopi molto diversificati l’uno dall’altro e ravvicinati (dunale e retrodunale, macchia mediterranea, bosco umido planiziale), dove ancora si può osservare la Lontra, nelle acque dei canali di bonifica e nel fiume Sinni, la tartaruga Caretta Caretta, in via d’estinzione, che ne sceglie la spiaggia per nidificare, il rarissimo insetto “Rosalia Alpina” che vive all’interno delle cortecce dei tronchi secolari che vegetano in quel che resta del bosco.
E dire che il Bosco è sopravvissuto, attraverso i secoli, all’uomo ed alle sue molteplici attività. Federico II di Svevia manifestò il suo interesse per i boschi della foce del Sinni e volle farli ripopolare con selvaggina pregiata, per le sue cacce. I Gesuiti lo tennero come Grancia per lungo tempo, i Berlingeri, antica e nobile famiglia Calabrese, seguendo l’esempio di Federico II, ne fecero la loro riserva di caccia. La Riforma Agraria del secondo dopoguerra passò come un rullo compressore sul bosco. Il “taglio a raso con dicioccamento” interessò più della metà dell’originaria superficie boscata per far posto alle colture intensive ed alla fame di terra dei contadini locali.
Nel 1999 la Regione Basilicata ha classificato quel che era rimasto del Bosco Pantano come Riserva Naturale Orientata, allo scopo di tutelare l’area e pianificare il suo recupero ambientale. Parte della riserva è gestita dal WWF, dedito come può alla tutela dell’area protetta. Il Bosco Pantano è stato designato Sito di Importanza Comunitaria (SIC). E’ un habitat naturale che va tutelato per la conservazione della biodiversità. In più è una Zona di protezione speciale(ZPS), in quanto idonea per estensione e localizzazione geografica alla conservazione di numerose specie di uccelli selvatici.
Ma tutto ciò sembra non bastare per proteggere ciò che Norman Douglas, letterato inglese autore di “Old Calabria”, definì, i primi del ‘900, “palude tropicale” e “labirinto verdeggiante”.
Chi entra una volta nel “bosco incantato” non lo dimentica più. E’ un luogo dal fascino primordiale senza tempo. Un fitto intrico di rami e foglie dalle forme più svariate e meravigliose chiude a cupola anche i più piccoli spiragli di luce solare mentre il verde delle piante ingloba ogni altro colore. Sembra quasi di sentire le martore e gli scoiattoli, descritti dallo scrittore francese Richard de Saint-Non nel 1781, passeggiare sulla propria testa, di albero in albero.
Troppe volte mi sono inoltrato nella lussureggiante foresta igrofila, imbattendomi nei meravigliosi tappeti gialli formati dagli iris che vegetano numerosi nelle pozze d’acqua semiperenni, per immaginare che un giorno tutto questo sparisca.
Troppe volte mi sono soffermato ad osservare aironi, garzette, falchi di palude per tollerare che il cielo sopra il Pantano di Policoro si svuoti. Troppe volte ho indugiato nel sottobosco, tra le profumatissime piante di liquirizia, un tempo oggetto di una fiorente industria, per rassegnarmi a non poterne più sentire il profumo.
Non dimentichiamo il Bosco Pantano di Policoro. Non lasciamolo morire. Facciamo tutti la nostra parte e pretendiamo dalle istituzioni che facciano la loro.

Luca Petruzzellis

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